giovedì 18 dicembre 2008

LA NONNA

Gli agenti vennero a cercarmi alle 9,20 del mattino.

Bruno, il mio principale, mi fe­ce segno di andare nel suo ufficio, e li trovai là. Erano due. Uno era tarchiato, con capelli grigi a spazzola e occhi azzurro slavato freddi e ghiacciati come il Polo Sud. L'altro era più giovane, più alto e più magro, con gli occhi ar­denti e carichi di furore del fana­tico. Era pronto a giurare che fossi stato io, avendo letto dei miei tra­scorsi. Mi odiava per il solo fatto di esistere.

Il più anziano mi mostrò la tessera ma, per quel tanto che me la lasciò vedere, avrebbe potuto anche essere quella del Sindacato dei Me­tallurgici.

- Santoni, dell'Investigativo - dis­se - Tu sei Franco Martini.

Non era una domanda ma rispo­si ugualmente.

- Già.

Fece un cenno col capo.

- An­diamo.

Con uno come me, non aveva nessun bisogno di usare riguardi. Girò sui tacchi e si avviò. Occhi Roventi, il più giovane, mi mise u­na mano sulla spalla per darmi uno spintone. Sobbalzai e mi lasciai scappare un gemito.

- Be', che c'è? - disse lui.

Mi girai, fissandolo con faccia truce per nascondere il dolore.

- Ho male al collo e alla spalla – dissi - Devo aver preso un colpo d'a­ria.

Mi venne così spontanea che io per il primo me ne meravigliai.

Mi fissò per un istante con faccia dura, poi fece schioccare le dita.

- Avanti, muoviti.

Mi mossi, seguendo Santoni. La loro macchina nera era parcheggiata di fronte in Divieto di Sosta, con il muso verso il marciapiede e la co­da verso la strada, in modo da disturbare il traffico. Occhi Roventi mi fece sedere dietro, poi andò a mettersi al volante. Nonostante il suo temperamento irascibile, guidava bene, aprendo ogni tanto la sire­na per farsi largo nel traffico. E non mi stavano portando in centro, al posto di polizia, ma a ovest, verso i sobborghi. Nessuno parlava. Ave­vano trovato la mia auto, probabil­mente. La cosa, si sa, non li aveva rallegrati di certo.

Finalmente, Occhi Roventi im­boccò un centro-negozi che aveva una di quelle aree di parcheggio che si stendono a perdita d'occhio. Di fronte a noi, facciate di vetro e alluminio luccicavano nel sole ac­cecante. Avanzammo pian pianino fino all'estremità del parcheggio e ci fermammo accanto a una macchina della polizia vicino alla quale stavano due agenti in divisa. Scorsi la mia ba­gnarola mezzo nascosta da un ce­spuglio e, al di là, un'ambulanza in sosta, con il lampeggiatore acceso. Un tale vestito di scuro, con valigetta nera, stava scendendo dalla mia auto.

Gli agenti in divisa videro Santoni e si misero svogliatamente sull'at­tenti. Lui, toccandomi nel gomito, mi indicò la mia macchina.

- È tua?

Per chi m'aveva preso?

- Sì, è la mia. Qualcuno me l'ha rubata, ieri sera.

Occhi Roventi rise.

- Ah, ah, sentitelo! Dice che gli era stata ru­bata.

Improvvisamente sentii che il colletto mi soffocava ma non mi vol­tai. Mi rivolsi ad Santoni.

- Ho de­nunciato il furto questa mattina, verso le sette e mezzo. La mia chia­mata l'ha presa un certo Marchi

I suoi occhi rimasero gelidi, an­che se ora mostravano un vago in­teresse. Evidentemente, la cosa gli giungeva nuova. Si girò verso l'al­tro e gli fece un segno con la testa. Occhi Roventi si allontanò per con­trollare.

- Rubata da dove? - volle sapere Santoni.

- L'avevo parcheggiata in fondo alla strada, nella via dove abita mia nonna. Ho passato la notte, in casa di mia nonna.

Si sforzava di mantenere gelido lo sguardo ma, suo malgrado, co­minciava ad apparire un po' incer­to. Una nonna, ci mancava.

- Da tua nonna? Perché, tu non hai una casa?

- Sicuro che ho una casa. Solo che, due o tre volte alla settimana, vado a trovare mia nonna e, qual­che volta, mi fermo a dormire da lei.

L'uomo vestito di scuro, con la valigetta nera, toccò un braccio di Santoni.

- È stato tra le due e le quattro, Santoni. Per il momento, non posso essere più preciso di così.

- Grazie. – assentì Santoni

Valigetta Nera se ne andò e Santoni tornò a dedicarmi la sua at­tenzione.

- Tanto per la cronaca, Martini, dov'eri tra le due e le quat­tro di stamattina?

- Ve l'ho detto, no? A casa di mia nonna. Dormivo. Insomma, vi dispiacerebbe dirmi di che si trat­ta?

Sospirò e agitò il braccio verso il lato opposto del parcheggio.

- Sta­mattina presto, laggiù, c'è stata una rapina in un ufficio di postale. Poi, un paio d'ore fa, ci hanno telefona­to a proposito della tua auto. Siamo sicuri che esiste un nesso tra le due cose.

- Che cosa significa, "hanno tele­fonato a proposito della mia auto"? Di che cosa state parlando?

- Guarda dentro il tuo macini­no, Martini. Sul sedile anteriore. E attento a dove metti i piedi. Pare che ci sia stata una bella zuffa.

Quando aggirai il cespuglio per andare verso la mia macchina, ca­pii di che cosa stava parlando. Chiazze e rivoli di sangue erano sparsi sull'asfalto e perfino sull'erba lì vicino. E, sul sedile anteriore, c'e­ra riverso un individuo, ormai mor­to stecchito. Un piccoletto con i ca­pelli neri, occhi e bocca spalancati e un manico di coltello che gli spun­tava proprio dallo stomaco. Doveva averci messo un bel pezzo a morire, perché c'era una quantità di sangue su tutto il sedile anteriore e sul pa­vimento. C'era sangue perfino sul cruscotto e sul volante.

- Chi era, Martini? - Occhi Ro­venti si era avvicinato e mi stava alle spalle.

Ma se s'illudeva di cogliermi alla sprovvista, era scemo forte.

- E chi lo sa! Non l'ho mai visto in vita mia.

- Si chiamava Emilio Paradisi. Ti dice niente? Un delinquente da strapazzo, proprio come te. E aveva frequentato la tua stessa suola.

Alzai le spalle.

- Era una grossa suola, e io non conoscevo mica tutti. E poi, sono cose di tre anni fa, e adesso non sono più un delin­quente, per vostra norma. E le mie impronte non le troverete di certo, su quel coltello.

Santoni riprese le redini della situa­zione.

- A che ora sei arrivato a ca­sa di tua nonna, Martini?

- Poco prima delle undici. Ab­biamo mangiato un po' di torta, poi abbiamo guardato la TV e abbia­mo fatto anche una partitina. Sia­mo stati su fin verso la una, poi io sono andato a letto.

- E tua nonna a che ora è anda­ta a letto?

Accennai una stretta di spalle.

- Non saprei. Dopo di me, in ogni modo. Ha quasi ottant'anni e cerca ancora di fare tutto da sé, in casa. Ma si stanca facilmente, così durante il giorno ogni tanto addormenta. Poi, si lamenta perché di notte non può dormire. Dice che ha l'insonnia.

- Andiamo da tua nonna e con­trolliamo, eh?

- Per voi è la signora Brandi - dissi, tanto per fargli capire che con lei non poteva usare gli stessi modi che usava con me.

Il tragitto di ritorno si svolse in silenzio, proprio come quello dì an­data. Solo che, a questo punto, non erano più tanto sicuri del fatto lo­ro. Dopo aver fatto il giro dell'iso­lato senza poter trovare posto per la macchina, Occhi Roventi parcheg­giò proprio davanti al portone di mia nonna in doppia fila.

Schiacciai il campanello, mentre loro due mi stavano quasi addosso in cima ai gradini. Pochi secondi dopo la porta si aprì e mia nonna mi guardò con i suoi vivacissimi oc­chi castani.

- Ciao, Franco. Già di ritorno? Hanno trovato la tua... - s'inter­ruppe nel vedere i due dietro di me.

- Sì, nonna, hanno trovato la mia auto.

Entrammo nel soggior­no.

- Questi due signori sono della polizia, nonna, e vogliono parlare con te a proposito...

- Lascia parlare noi, Martini - interruppe Santoni.

Fece un cenno a Occhi Roventi e agitò una mano.

- Portatelo in cucina. E chiudi la porta

Andammo in cucina, dove io mi diedi da fare per mettere a scalda­re l'acqua per il té. Alla nonna, e a me il té piaceva. Occhi Roventi e io non trovavamo argomenti su cui conversare. I tipi come lui e quelli come me difficilmente ne hanno, in comune.

La porta di cucina si aprì pro­prio quando l'acqua cominciava a bollire.

- Oh, stai pre­parando il té. Che caro! Volete una tazza di té, signor Santoni? – disse mia monna

Santoni scosse la testa e si rivolse a Occhi Roventi

- Andiamo.

Poi, mi avvolse in un'occhiata lunga e penetrante.

- Troviamo da noi la strada.

La nonna li accompagnò all'u­scio, in ogni modo, e aspettò finché non vide partire la macchina. Quando rientrò, il té era pronto e io ero seduto al tavolo di cucina. Lei mandò giù qualche sorso e so­spirò, soddisfatta.

- Che cosa gli. hai detto? - do­mandai

- Solo quello che è accaduto, caro. Che sei andato a letto verso la una meno un quarto e che io mi sono coricata alle tre, dopo essere venuta a vedere se dormivi. E dormivi come un angelo, gliel'ho detto. E gli ho spiegato che soffro d'insonnia. Non fare quella faccia preoccupata, caro.

- Mah, non so. Santoni è un segugio. Non molla tanto facilmen­te la preda.

- Ma sì che la mollerà, caro. So­prattutto quando non troverà nes­suna prova contro di te.

Assentii distrattamente, ancora preoccupato.

- Come va la spalla, caro?

- Bene. Mi duole ancora, ma cre­do che vada bene.

- Meno male che facevo l'infer­miera, una volta. Però, caro, sono sempre del parere che occorrerebbe­ro alcuni punti. – sospirò - È un vero peccato che fosse un tipo così avido.

- Avido? Ah, stai parlando di Parisi.

- Sì. Aggredirti con quel coltello, per prendersi lui tutto il denaro.

- Sì, è stata una vera sorpresa.

- Ma tu non sei un individuo avido, vero, Franco?

- Avido? Io?

- Sì, Franco. Quel simpatico inve­stigatore mi ha detto molte cose. Credevi che non sarei venuta a sa­perlo, eh? La rapina ti ha fruttato duecento mila euro, non cinquantamila. E la mia insonnia ti costa il cinquanta per cento, ricordi?

- Sì, nonna. - sospirai

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ciao Spirit... volevo avvisarti che ho postato due nuovi capitoli.
Ancora tanti auguri KP