lunedì 13 ottobre 2008

TRENTATRE

Betty mi aspettava impaziente al parcheggio. Il suo sguardo sì fissò sul mio viso.
- Siete sporco di rossetto - mi disse. - Aspettate. - Prese un fazzoletto dalla sua borsetta e mi ripulì. - Ecco, ora va meglio.
Salimmo in macchina.
- Avete una relazione con la signora Sandri? - mi domandò tranquillamente, in tono del tutto neutrale.
- Siamo amici.
- Eh, già. Qui ognuno pensa ai fatti suoi e io non posso fare niente per Nick. Non meravigliatevi poi se non mi fido di nessuno. Se siete così amico della signora Sandri, perché non mi ha lasciato vedere Nick?
- Il medico è suo marito, lei è solo un'assistente, così ha detto.
- E suo marito perché non vuole?
- Trattengono Nick in clinica per misura precauzionale. Contro chi o contro che cosa, non è chiara, ma sono d'accordo sul fatto che Nick ha bisogno di protezione. Però oltre che del medico avrebbe bisogno anche di un legale.
- Se state cercando di immischiare ancora mio padre... - Strinse il volante come se volesse spezzarlo.
- C'è già immischiato, tuo padre, Betty. Non serve molto discuterne e tu non aiuti certo Nick mettendoti contro di lui.
- È lui che si è messo contro di noi... contro Nick e me.
- Forse, ma noi avremo bisogno del suo aiuto.
- Io no.
- Comunque, a me serve il tuo. Mi vuoi portare all'ufficio di tuo padre?
- Va bene, ma io non salgo.
Si fermò al parcheggio che si trovava dietro l'edificio dove si trovava Io studio del padre. In uno degli spazi « riservati » era parcheggiata una lucida Rolls-Royce nera.
- È quella dei Mori - notò Betty. - Credevo che avessero rotto con papà.
- Forse ci hanno ripensato. Che ore sono?
- Quattro e trentacinque. Vi aspetterò qui.
La Rolls-Royce mi interessava. Andai a guardarla da vicino e ammirai i suoi sedili ricoperti dì cuoio e i profili in noce. La macchina era immacolata; soltanto il tappetino posteriore era macchiato. Era una macchia giallastra, sembrava un residuo secco di vomito. Ne grattai una parte con l'angolo di una carta: di credito. Quando alzai lo sguardo, vidi un uomo in uniforme scura venire verso di me. Era Emilio, l'autista dei Mori.
- Via dalla macchina - vociò.
- Va bene.
Chiusi la portiera e mi allontanai. Gli occhi di Emilio erano puntati sulla carta che avevo in mano. Fece per afferrarla, ma non ci riuscì.
- Datemela.
- AI diavolo! Chi si è sentito i male in macchina, Emilio?
La domanda Io turbò. Glielo chiesi ancora e la sua ira svanì di colpo. Si voltò, salì in macchina e sollevò il finestrino.
- Che è successo? - mi chiese Betty venendomi incontro.
- Non lo so ancora. Che tipo è?
- Emilio? Un cocciuto.
- È un galantuomo?
- Direi di sì. È in casa Mori da almeno vent'anni.
- Che genere di vita fa?
- La vita tranquilla di uno scapolo, credo. Ma non ne so molto. Cos'è quella roba gialla sulla carta?
- Domanda pertinente. Hai una busta?
- No, ma posso andare a prenderla.
Entrò nell'edificio dalla porta posteriore e ritornò con una busta che recava l'intestazione di suo padre. Con l'aiuto di Betty, infilai il mio reperto nella busta, la sigillai e la siglai.
- Conosci un laboratorio analisi?
- Sì. E’ qua vicino.
Le diedi la busta.
- Voglio che mi dicano se c'è presenza di Nembutal. Credo che non sia difficile, e forse lo possono fare subito, se dici che è per tuo padre. E raccomanda di conservare il campione, chiaro?
- Sissignore.
- Poi mi porti i risultati. Probabilmente sarò nell'ufficio di tuo padre. Puoi sempre travestirti.
Non sorrise ma si avviò velocemente a fare la commissione. Ora mi sentivo pieno di forza e dì aggressività. Se ciò che subodorava era vero, quel residuo di vomito avrebbe risolto il caso.
Andai da Orazi.
- Alfonsi! Stavo per rinunciare ad aspettarvi!
Mi condusse in biblioteca. Un giovanotto stava manovrando un proiettore. In fondo alla stanza era già stato preparato uno schermo.
- Dove vi siete cacciato? - mi domandò.
Glielo dissi e poi cambiai discorso.
- Vedo che avete comprato i filmini dalla signora Mieli.
- No - disse con una certa soddisfazione - ho solo convinto la signora Mieli che era suo dovere servire la giustizia. Le ho lasciato la scatola fiorentina, che era di sua madre. In cambio mi ha dato i films. Sfortunatamente, quello che ora vi mostrerò fu girato circa ventisei anni fa ed è molto rovinato: si rompe continuamente. - Si rivolse al giovanotto: - Come andiamo, Aldo?
- Lo sto cucendo. Sarà pronto tra un minuto.
- Fatemi una cortesia, Alfonsi - mi disse Orazi. - Irene Mori è nella sala d'aspetto.
- È tornata all'ovile?
- Tornerà, per il momento è qui contro la sua volontà. Andate a vedere che non scappi.
- Cosa state cercando di sapere da lei?
- Vedrete.
- Che il suo nome di ragazza era Rita Franchi?
L'espressione soddisfatta di Orazi si spense. Era sorta una specie di rivalità tra noi due, forse dovuta anche al fatto che Betty si era fidata di me.
- Da quanto tempo lo sapete? - fece in tono inquisitorio.
- Da circa cinque secondi, però lo sospettavo da ieri sera.
Non sarebbe stata una buona idea raccontargli che questo sospetto mi era nato da un sogno che avevo fatto su mia nonna. Mentre mi avviavo verso la sala d'aspetto, il sogno mi aggredì nuovamente: la signora Franchi si sovrapponeva all'immagine di mia nonna. La passione con cui aveva custodito il segreto di sua figlia, comunque, la riabilitava.
Quando entrai nella stanza, Irene Mori sollevò il viso. Sembrò che non mi conoscesse subito. La centralinista mi parlò a voce bassa, come se fosse alla presenza di una persona malata.
- L'avvocato Orazi è in biblioteca, mi ha detto di mandarvi da lui.
- Gli ho appena parlato.
- Capisco.
Mi sedetti accanto a Irene Mori. Si voltò, mi guardò e a poco a poco mi individuò. Sembrava una persona prossima al risveglio.
- Mi dispiace, signor Alfonsi, ero distratta. E poi ero convinta che voi non foste più con noi.
- Ci sono ancora, signora Mori. A proposito, ho ritrovato le lettere di vostro marito.
- Le avete con voi? - chiese senza molto interesse.
- Alcune. Ve le riconsegnerò tramite l'avvocato Orazi.
- Non è più il nostro legale.
- Potete fidarvi, le lettere ve le darà.
- Non so. - Si guardò attorno sospettosa. - Siamo sempre stati ottimi amici, ma ora più.
- A causa di Nick e di Betty?
- Questa è stata la goccia fatale. Ma abbiamo già avuto dei dissapori in passato, per denaro. È sempre il denaro che rovina tutto, vero? A volte vorrei tornare povera.
- Che guai avete avuto per denaro, signora Chalmers?
- Quando Lorenzo e io fondammo la “Fondazione Sandri”. Il signor Orazi si rifiutò di fare le pratiche per noi. Era convinto che noi ci cacciassimo in una trappola di Sandri e che non dovevamo, assolutamente aprirgli una clinica. Ma Lorenzo voleva farlo, e anch'io pensavo che fosse una buona idea. Non so dove saremmo ora senza il dottor Sandri.
- Ha fatto molto per voi, vero?
- Lo sapete bene. Ha salvato Nick da... sapete anche questo. Credo che Orazi sia geloso di Sandri. Comunque, ora non è più, nostro amico. Oggi sono venuta qui perché mi ha minacciato.
Avrei voluto chiederle di spiegarsi meglio, ma la centralinista stava ascoltando.
- Andate a chiedere all'avvocato Orazi se è pronto, per cortesia - dissi alla ragazza.
Riluttante se ne andò. Mi rivolsi alla signora Mori.
- Con quali mezzi vi ha minacciato?
Rispose apertamente.
- Si stava comportando come se non avesse più discrezione.
- Ancora per Nick.
- Orazi oggi ha tirato fuori ancora qualcosa di sporco. Forse non dovrei dirvi di cosa si tratta.
- È qualcosa che ha a che fare con la nascita di Nick?
- Ve lo ha già detto ! ?
- No, ma ho letto alcune lettere di vostro marito. Quando Nick fu concepito, vostro marito era lontano. È vero, signora Mori?
Mi guardò smarrita e poi sprezzante.
- Non avete nessun diritto di fare simili affermazioni! Volete rovinarmi, vero?
Tornò la centralinista e ci informò che Orazi stava aspettandoci. Nella biblioteca era solo e stava m piedi dietro il proiettore.
Irene Mori reagì alla macchina come se fosse stata un'arma puntata contro di lei. Il suo sguardo si spostava spaurito da Orazi e me. Chiusi la porta. Il suo viso e suo corpo si irrigidirono.
- Non mi avevi detto nulla di questi films - si lamentò con Orazi. - Mi hai detto soltanto che volevi rivedere il caso con me.
- Il film fa parte del caso - rispose calmo e autorevole l'avvocato. - È stato girato durante un ricevimento a San Marino, nell'estate del 1953. Il film è stato quasi tutto girato da Enrico Mieli, che aveva dato il party. La parte finale, dove si vede lui, è stata girata dalla signora Mieli.
- Hai parlato con la signora Mieli?
- In un certo senso; ma francamente mi interessa di più la tua reazione. Vieni, siediti e mettiti comoda, Irene.
Lei non si mosse. Orazi le si avvicinò sorridendo e la prese per un braccio. Con riluttanza e con molta lentezza, Irene si mosse, si sedette sulla poltrona e si allungò sullo schienale, con le braccia penzoloni.
- Volete spegnere le luci, Alfonsi? - disse Orazi.
Spensi le luci e andai a sedermi vicino a Irene. Il proiettore cominciò a ronzare. Lo schermo sì riempì di immagini: una grande piscina con trampolino sotto un ciclo azzurro cupo.
Una giovane ragazza bionda, dal corpo maturo ma dal viso infantile, salì sul trampolino. Agitò una mano in direzione dell'obiettivo, poi si lanciò con eccessivo impeto e compì un ridicolo tuffo a gambe aperte. Riemerse con la bocca piena di acqua, che fece zampillare in direzione dell'obiettivo. Era Claudia Grazioli, giovane.
Irene Mori, nata Rita Franchi, era vicina al trampolino. Lo percorse con grazia studiata. Rimase immobile per qualche attimo, poi si buttò in acqua con un tuffo perfetto. Era una donna bellissima. Riemerse, sorrise e si avviò a nuoto verso il bordo della piscina. Poi ricomparve Claudia sorridente e chiassosa. Una terza persona, un ragazzo di circa diciotto anni che non riconobbi subito, salì sul trampolino. Anche lui lo percorse lentamente guardandosi attorno come se temesse qualcosa. Infatti arrivò di corsa Claudia, che con una spinta lo buttò in acqua. Il giovane riemerse dibattendosi, con gli occhi chiusi. Una donna con un cappello a larga tesa gli porse un lungo gancio rivestito di pezza e Io trascinò dove l'acqua era meno profonda; e lui rimase fermo lì, con l'acqua che gli arrivava alla vita e la schiena girata verso l'obiettivo.
La sua salvatrice si tolse il cappello e si inchinò verso gli spettatori. Era la signora Mieli: l'obiettivo non indugiò su di lei, ma riprese una panoramica di tutti i presenti. Sopra un dondolo era seduta una coppia di anziani signori; riconobbi Samuele Raffi e immaginai che la donna accanto a lui fosse Estelle Mori: aveva un viso magro, dolce, appassionato.
Rita e Claudia rientrarono nel quadro. Erano in acqua, si avvicinarono al ragazzo nemico dell'acqua, e Rita lo spruzzò abbondantemente.
Ebbi una fugace visione di Roberto Franchi, con barba e capelli rossi, in tenuta da giardiniere, mentre guardava sua figlia che si divertiva. Mi voltai. Il viso di Irene Mori era illuminato dai riflessi colorati dello schermo. Sembrava che la donna stesse morendo sotto il bombardamento del passato.
Quando tornai a guardare lo schermo, vidi Enrico Mieli sul trampolino. Era un uomo di media taglia, con una bella testa. Si tuffò, risalì e si rituffò ancora. Poi venne un doppio tuffo con Rita alle sue spalle e infine un tuffo assieme a Rita. Uno stacco di scena ed ecco di nuovo Rita che stava a gambe divaricate sul trampolino. Enrico infilò la testa tra le sue gambe e la sollevò. Barcollando la portò all'estremità del trampolino, rimase un attimo immobile e poi i due caddero in acqua e rimasero sottacqua per degli istanti che sembrarono eterni. L'obiettivo li cercò ma non riuscì che a riprendere la luccicante superficie azzurra, colorata di ombre che si dissolvevano in acqua.

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