giovedì 21 agosto 2008

TREDICI

Pranzai a Ostia e poi tornai a casa mia a Roma. L'aria casa era calda e stantia. Aprii una finestra, presi una bottiglietta di bir­ra e mi sedetti nella penombra del salotto.

Vivevo in un quartiere tranquillo, lontano dal traffico cittadino. Eppu­re ne percepivo il mormorio lontano e familiare, intimo come il pulsare delle mie stesse vene. Le automobili che di tanto in tanto passavano nella strada lanciavano fasci di luce sul soffitto.

Il caso di cui mi stavo occupando era difficile da afferrare come quel­le luci. Aveva diversi aspetti che cambiavano di volta in volta. Enrico Mieli e tutta la sua famiglia ne erano al centro. Se fosse stato vivo, avrebbe potuto darmi le informazio­ni che mi erano necessarie. Se era morto, le stesse informazioni mi sa­rebbero dovute venire dalla gente che conosceva la sua storia.

Accesi la luce, presi il mio libret­to di appunti e cominciai a scrivere alcune annotazioni:

«La Colt 45 che ho sequestrato a Nick Mori venne comprata nel 1951 da Samuele Raffi, presi­dente della "Banca Maremmana" di Viterbo. Il primo luglio del 1955, Raffi diede quest'arma a sua figlia Luisa. Il marito di Luisa, Enrico, cassiere della banca, si era appropriato indebitamente di una grossa somma di denaro mandando in rovina la banca. Poi era fuggito, pare in Spagna, con Rita Franchi, figlia della governante di Raffi e un tempo "migliore amica" della sua stessa figlia Claudia.»

«Enrico Mieli ricomparve a casa della moglie nel 1964 e prese la Colt. Come è arrivata l'arma a Nick Mori? Via Sandro Pesce o tramite altra gente?»

«N.B. Firenze: Pesce vive­va qui, come pure Claudia e suo mari­to, come Giorgio Grazioli, come pure l'ex-marito della signora Franchi.»

Era quasi mezzanotte. Telefonai a Giovanni Orazi e gli lessi i miei ap­punti, due volte. Lo consigliai di consegnare la rivoltella a La Torre per la perizia. Orazi disse che l'aveva già fatto. Andai a dormire.

Alle sette mi svegliò il telefono. Presi il ricevitore e pronunciai il mio nome con la bocca impastata.

- Sono il commissario La Torre. So che è presto per telefonare, ma anch’io questa notte non ho dormito. Ho riveduto le perizie sulla rivoltel­la che voi avete consegnato al vo­stro avvocato.

- Il signor Orazi non è il mio avvocato.

- Era intervenuto in vostro fa­vore, via. Ma date le presenti circo­stanze, non è sufficiente.

- Quali circostanze?

- Non mi va di discutere certe cose al telefono. Siete in grado di venire qui entro un'ora? - Proverò.

Saltai la prima colazione e quan­do arrivai nell'ufficio di La Torre erano esattamente le otto meno due minuti. La Torre mi fece un veloce cenno di saluto. Aveva gli occhi più infossati del solito, e la barba lun­ga accentuava la stanchezza del suo viso.

Sulla scrivania erano ammucchia­te molte fotografie. Una di esse era un ingrandimento di due pallottole. La Torre mi fece cenno di sedermi.

- È giunto il momento per uno scambio di idee.

- Da come lo dite, lo si potreb­be chiamare un urto di personalità, capitano.

Lackland non sorrise.

- Non sono dell'umore giusto per tollerare le spiritosaggini. Voglio sapere dove avete preso questa rivol­tella. - Mi mostrò l'arma. Era sta­ta deposta sopra un tavoletta e attaccata con filo dì ferro.

- Non ve lo posso dire. La leg­ge dice che posso esimermi dal far­lo.

- Che ne sapete di legge?

- Sto lavorando per un ottimo avvocato e accetto le sue interpretazioni della legge.

- Io no.

- E poi mettetevi in testa que­sto, commissario. Fin dove posso, collaborerò con voi. Il fatto che voi abbiate la rivoltella ne è una prova.

- La vera prova sarebbe il dirmi dove l'avete presa.

- Questo non lo posso fare.

- E cambiereste idea se vi dices­si che lo sappiamo?

- Ne dubito, comunque sentiamo.

- Pare che Nick Mori aves­se questa rivoltella, ieri. Ho un te­stimonio. E un altro testimonio di­ce che Nick era nei pressi del «Riviera Motel» più o meno all’ora del delitto.

La voce di La Torre era secca e ufficiale, come se fosse già sul ban­co dei testimoni al processo contro Nick. Mentre parlava, mi guardava fisso negli occhi. Cercai dì mantene­re il mio sguardo il più inespressivo possibile.

- Nessun commento - risposi.

- Dovrete rispondere davanti al­la Corte.

- Questo si vedrà, e comunque qui non siamo davanti alla Corte.

- Ci sarete prima di quanto pen­siate. Ho già elementi sufficienti per un rinvio a giudizio. - Diede una manata alla pila di fotografie sulla scrivania - Ho la prova sicura che questa rivoltella ha ucciso Pesce. La pallottola estratta dal suo cervel­lo è identica a quella che abbiamo sparato in sede di perizia.

Studiai le microfotografie. No sono un esperto in balistica ma mi accorsi dell'identità dei proiettili. Le prove contro Nick si stavano accumulando.

Ce ne erano anche troppe. Eppu­re la confessione di Nick, di aver uc­ciso Pesce sulla spiaggia, mi sembrava sempre più irrea­le.

- Non avete perso tempo, commissario.

Il complimento Io mandò in cri­si.

- Vorrei che fosse vero - ri­spose. - Sono quindici anni che la­voro a questo caso... quindici anni perduti. - Mi valutò con lo sguar­do. - Veramente dovrei servirmi del vostro aiuto, sapete, e allo stesso modo mi piace collaborare con chiunque altro.

- Anch'io. Ma non capisco per­ché parliate di quindici anni.

- Forse non Io capisco nemme­no io. - Mi mostrò alcune altre fotografie che tolse dalla busta che avevo già visto ieri.

La prima fotografia era quel ri­taglio che già conoscevo: il ritratto di Enrico Mieli.

- Sapete chi è? - mi chiese La Torre.

- Forse.

- Sì o no?

Non c'era nessun motivo di tacere. La Torre sarebbe facilmente risalito a Raffi, seguendo le tracce della rivoltella, se già non l'aveva fatto. Da qui a Enrico Mieli il passo era breve.

- Si chiama Enrico Mieli, e vi­veva a Firenze.

La Torre sorrise e annuì, come fa un professore all'allievo che rispon­de bene. Mi mostrò un'altra foto­grafia: era un'istantanea che riproduceva il viso annoiato di un uomo addormentato. Guardai meglio; l'uo­mo non era addormentato, era mor­to.

- Che sapete di lui?

I capelli dell'uomo erano sbiaditi fino a sembrar bianchi. C'erano mac­chie di sporco o di cenere sul suo viso, bruciato dal sole. La bocca se­miaperta lasciava intravedere alcu­ni denti rotti.

- Potrebbe essere lo stesso uo­mo, commissario.

- Anch'io la penso così. Per que­sto l'ho tirata fuori dallo schedario.

- È morto?

- Da molto tempo, quindici an­ni. Si è fatto ammazzare nel 1964. Io ero ser­gente a quei tempi.

- Come è stato ammazzato?

- Gli hanno sparato al cuore. Con questa rivoltella - sollevò an­cora l'arma. - La stessa che ha uc­ciso Pesce.

- Come sapete tutto questo?

- Perizia balistica. - Da un cassetto prese una scatola che conteneva un proiettile. - Questa pallot­tola è identica a quelle che vi ho mostrato prima ed è quella che ha ucciso l'uomo nel 1964. Ho legato Ì due fatti - ag­giunse con un certo orgoglio - per­ché Pesce aveva con sé quella fo­tografia e fui colpito dalla somiglian­za dei due uomini.

- Credo che il morto sia Mieli. Come epoca ci siamo.

Raccontai a La Torre quello che avevo saputo dell'iter della rivoltel­la dalle mani dì Raffi in quelle di sua figlia e poi in quelle del suo vagabondo marito.

La Torre ascoltò con molto inte­resse.

- Mieli è stato in Spagna, se­condo voi?

- Per otto o nove anni, pare.

- Questo confermerebbe l'identi­ficazione. Il morto indossava abiti spagnoli. È uno dei motivi per cui non abbiamo seguito le sue tracce come forse avremmo dovuto.

- Nessuna impronta?

- No, nessuna impronta. Il cor­po venne abbandonato con le mani in un fuoco... nella brace di un falò. - Mi mostrò una fotografia repel­lente di due mani ustionate. - Non so se il fatto sia stato accidentale o no.

- Ma non avevate nessun so­spetto, allora?

- Indagammo su gente di pas­saggio, naturalmente. Uno di questi sembrò in un primo tempo promet­tere qualcosa... era un ex-galeotto di nome Roberto Franchi. Aveva con sé molto denaro, troppo per un vagabondo, ed era stato visto in compagnia del defunto. Ma lui so­stenne dì averlo conosciuto per caso lungo la strada e di aver soltanto bevuto una bottiglia con lui. E noi non potemmo procedere.

Trasferì ancora il discorso su Enrico e la rivoltella. Mi fece alcune domande alle quali risposi.

- Abbiamo chiarito tutto - concluse - fuorché il punto princi­pale. Dove avete preso questa rivol­tella ieri?

- Mi dispiace, capitano. Non starete addebitando anche questo vecchio delitto sul conto di Nick! Era appena in grado di maneggiare una pistola ad acqua, a quel tem­po.

La Torre fu implacabile come un giocatore di scacchi.

- I bambini sanno maneggiare le pistole.

- Non potete pensarlo davvero!

La Torre mi lanciò un sorriso: mi sembrava volesse dire che lui la sa­peva più lunga di me.

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