VENTI
Mi recai a casa di Giorgio Grazioli. Il sole stava tramontando e tingeva ogni cosa di rosso, come se il sangue sparso in quella casa si fosse mescolato alla luce.
Davanti alla casa c'era una macchina che avevo già visto, ma non ricordavo dove... una Volkswagen nera, e accanto un'automobile della polizia. Passai oltre e mi recai all'ospedale.
Nick era nella stanza 211, al secondo piano, me lo disse l'impiegata dell'Ufficio accettazione.
- Ma le visite sono permesse soltanto ai parenti stretti.
Salii lo stesso. Nella sala d'aspetto riservata ai visitatori, trovai la signora Sandri, la moglie dello psichiatra, che stava leggendo una rivista. Non so perché fui felice di vederla. Mi sedetti vicino a lei.
Non stava leggendo affatto, aveva solo in mano la rivista. Mi guardò ma non mi vide. Era tutta assorta nei suoi pensieri e questo conferiva al suo volto una sorta di grave bellezza. Vidi i cambiamenti di espressione nei suoi occhi man mano che si rendeva conto della mia presenza e alla fine mi riconobbe.
- Signor Alfonsi!
- Non mi aspettavo di vedervi!
- Sono venuta a fare una passeggiata! Era molto tempo che non venivo da queste parti
- È passato molto tempo!
- Stavo proprio pensando a questo e a come si invecchia presto. Ma a voi non interessa la mia autobiografia.
- Invece sì. Eravate sposata quando vivevate qui?
- In un certo senso, sì. Mio marito era quasi sempre lontano, era ufficiale medico della marina: sempre in mare. - Lo disse con una punta di orgoglio che però sembrava ormai appartenere al passato.
- Avete più anni di quanto sembra!
- Mi sono sposata giovane, troppo giovane.
Quella donna mi piaceva ed era bello parlare di qualcosa che non aveva nulla a che fare col mio caso. Ma lei ruppe l'incantesimo.
- Secondo le ultime notizie, pare che Nick se la caverà, ma non sappiamo in quali condizioni.
- Cosa ne pensa vostro marito?
- È troppo presto perché Raffaele possa compromettersi. Ora stanno facendo un consulto con un neurologo e un neurochirurgo.
- Non faranno un intervento al cervello per un avvelenamento da barbiturici, spero.
- Non è solo questo è che Nick ha preso un brutto colpo. Probabilmente è caduto e ha battuto la testa. O è stato colpito?
- È possibile.
- Mio marito dice che l'avete portato voi all'ospedale.
- Sì.
- Dove l'avete trovato? Non risposi.
- Non volete dirmelo?
- Esatto. - Cambiai argomento. - I genitori di Nick sono qui?
- Sua madre è con lui, suo padre sta arrivando. Né voi né io possiamo fare nulla.
- Potremmo cenare. - Mi alzai.
- Dove?
- Nel ristorante dell'ospedale, se vi và. È abbastanza decente.
- Ho mangiato troppe volte nei ristoranti degli ospedali.
- Pensavo che non voleste allontanarvi troppo. - La mia frase aveva un doppio significato che entrambi cogliemmo.
- Perché no? Raffaele ne avrà per ore. Perché non andiamo a La Baia
- Ci andavate quando vivevate qui?
- Avete un ottimo intuito.
L'aiutai a infilarsi il giaccone.
- C'è una condizione, però - mi disse mentre eravamo sull'ascensore. - Non dovete farmi domande su Nick e tutta la sua famiglia. Anch'io, come voi del resto, non posso rispondere a certe domande e allora perché rovinare le cose?
- Io non voglio rovinare le cose, signora Sandri.
- Il mio nome è Moira.
Mentre pranzavamo, mi disse che era nata a Milano e che aveva fatto il corso di assistente psichiatra presso l'Università Bocconi. Qui aveva conosciuto e sposato Raffaele Sandri. Quando lui andò in marina e venne destinato all'ospedale navale di Civitavecchia, anche lei si trasferì.
- Vivevamo in un piccolo, vecchio albergo qui vicino a La Baia. Non era gran che, ma mi piaceva. Quando abbiamo finito di mangiare, vorrei andare a vedere se c'è ancora.
- D'accordo.
- Ho corso un rischio, venendo qui. Voi non potete immaginare come era bello. Era la prima esperienza vicino al mare. Alla mattina presto, quando andavamo nella baia, mi sentivo come Eva nel paradiso terrestre. Tutto era nuovo, fresco e senza dispersioni. Non come ora.
Con un movimento della mano, sembrò voler cancellare la realtà presente: le pesanti decorazioni del locale, i camerieri vestiti di nero, la musica di sottofondo.
- Questa zona della città è cambiata, infatti - convenni.
- Vi ricordate com'era Civitavecchia negli anni cinquanta?
- Anche negli anni quaranta. Noi vivevamo a Santa Marinella.
- «Noi» vuoi dire voi e vostra moglie?
- Io e i miei amici. Mia moglie non amava il mare.
- Tempo passato?
- Passato storico. Divorziò da me proprio negli anni cinquanta. Non la biasimo. Voleva una vita tranquilla e col mio lavoro non era assolutamente possibile.
Moira mi ascoltava in silenzio.
- Anch'io vorrei tanto aver divorziato! - disse quasi a se stessa. Il suo sguardo incontrò i miei occhi. - E voi cosa volete, Alfonsi?
- Questo.
- Cioè stare qui con me? - Pensai che desiderasse un complimento, ma poi mi resi conto che mi stava prendendo in giro. - Non credo di meritare lo sforzo di tutta la vostra vita!
- La vita è di per se stessa una ricompensa - ribattei. - Mi piace entrare nelle esistenze altrui e poi uscirne. Il vivere sempre con la stessa gente, nel solito luogo, mi annoia.
- Questa non è la vostra reale motivazione. Conosco i tipi come voi. Voi avete una segreta passione per la giustizia. Perché non volete ammetterlo?
- Ho una segreta passione per la misericordia. Ma la gente può solo sperare nella giustizia.
Si chinò verso di me con una malizia del tutto femminile.
- Sapete quello che vi accadrà? Diventerete vecchio e avrete sprecato voi stesso. Questa è giustizia?
- Morirò prima e questa è misericordia.
- Siete terribilmente immaturo, lo sapete?
- Terribilmente.
- Vi ho fatto inquietare?
- Solo la vera ostilità mi fa inquietare. Ma voi non siete ostile, anzi. Mi state dicendo che farei meglio a sposarmi prima che sia troppo vecchio, altrimenti non avrò nessuno che si prenderà cura di me.
- Voi! - scoppiò a ridere.
Dopo pranzo lasciai la macchina al parcheggio del ristorante e a piedi ci incamminammo per la strada principale che portava alla spiaggia. Il mare era agitato e si udiva il frangersi delle onde contro la spiaggia.
A un certo punto girammo a destra, oltrepassammo un grosso edificio di recente costruzione e arrivammo a un motel che si trovava proprio sull'angolo. Moira immobile lo guardò.
- Credevo che fosse questo il luogo - disse - ma io non ricordo affatto questo motel. - Poi si rese conto di quello che era successo. - E’ questo, è questo il luogo. Hanno abbattuto il vecchio albergo e hanno costruito questo motel. - Era emozionantissima, come se fosse stata demolita parte del suo passato.
- Non si chiamava «Hotel Giglio»? - chiesi.
- Esatto, «Giglio». Ci siete stato?
- No. Ma sembra che per voi significhi molto.
- È vero. Ci sono vissuta per due anni, dopo che Raffaele s’imbarcò. E ora mi rendo conto che sono stati gli anni più veri della mia vita. Non ne ho mai parlato a nessuno.
- Nemmeno a vostro marito?
- Proprio a lui, no! - La sua voce si era fatta tagliente. - Raffaele non vi ascolta, quando cercate di dirgli qualcosa. Pensa solo al motivo per cui glielo state dicendo, o a quello che lui crede che sia il motivo. Capisce solo i sottintesi, ma il significato più ovvio lo trascura. Deformazione professionale.
- Non siete ben disposta verso vostro marito.
- È vero, non lo sono affatto e non lo sono nemmeno con me, verso me stessa. È parecchio che sono in questo stato d'animo.
Si era incamminata verso un sentiero che conduceva al mare. Il luogo era completamente deserto.
- Dapprima ce l'avevo solo con me stessa per quello che avevo fatto - continuò mentre camminavamo. - Avevo solo diciannove anni quando cominciò ed ero piena di sensi di colpa più che normali in una adolescente. In seguito, il mio disappunto era dovuto al fatto per non essere stata capace di andare fino in fondo.
- Non è molto chiaro quello che dite.
Mi guardò.
- E non voglio nemmeno che lo sia - concluse.
- Non credo.
- A che servirebbe? Tutto è passato... completamente finito.
Era quasi disperata. Si allontanò in fretta da me e io la seguii. Era in uno stato d'animo vago, era una donna di mezza età che cercava una continuità nella propria esistenza. Il sentiero continuava tra gli scogli a picco sul mare e sarebbe stato facile scivolare e cadere nell'acqua. La raggiunsi alla baia, l'epicentro di tutto il passato di Moira. Si tolse le scarpe e mi guidò giù per gli scalini. Ci fermammo proprio a filo dell'acqua.
- Vieni a prendermi - disse al mare o a me o a chissà chi.
- Eravate innamorata di un uomo?
- Non era un uomo. Era un ragazzo che lavorava all'Ufficio postale.
- Era con lui che venivate qui quando vi sentivate come Eva nell'Eden?
- Era con lui. Mi sento ancora colpevole. Io vivevo qui sulla spiaggia con un altro ragazzo mentre Raffaele era lontano in mare. - Aveva sempre un certo tono sarcastico quando parlava del marito. - Raffaele mi scriveva lunghe lettere, piene di un alto senso del dovere, ma non serviva a nulla. In realtà io volevo sminuirlo perché era sempre così sicuro di sé, cosi saccente. Credete che io sia un po' pazza?
- No.
- Daniele lo era, e non soltanto un po'.
- Daniele?
- II ragazzo che viveva con me al «Giglio». Era stato uno dei pazienti di Raffaele, per questo l'ho conosciuto. Raffaele mi consigliò di aver cura di lui. Abbastanza comico, no?
- Piantatela, Moira. Sembra che ci prendiate gusto a tormentarvi.
- Forse. Se soltanto potessi tornare indietro e cambiare alcune cose...
- Che cosa vorreste cambiare?
- Non lo so esattamente. Non parliamone più.
Si allontanò da me. I suoi piedi nudi lasciavano impronte sulla sabbia. Ammirai la grazia con cui si muoveva. Poi dì colpo tornò verso di me, camminando all'indietro e cercando di rimettere i piedi nelle impronte che aveva lasciato. Arrivò a sfiorarmi e si voltò. L'abbracciai. C'erano lacrime sul suo viso, oppure gli spruzzi del mare. Comunque, sentii sapore di sale.
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